Teatro

BERLINO, PETER GRIMES

BERLINO, PETER GRIMES

Peter Grimes è una delle pietre miliari della musica operistica del Novecento, ma stranamente a Berlino non è quasi mai stata rappresentata e solo ora entra in repertorio alla Deutsche Oper in una nuova produzione realizzata congiuntamente all’ENO di Londra e firmata da David Alden.

Il regista crea una situazione claustrofobica sul punto di esplodere e, ritenendo che si tratti di un dramma di portata universale, non adotta un’ambientazione definita, anche se gli atteggiamenti da società puritana e al tempo stesso viziosa sono molto british e i costumi di Brigitte Reiffensteul rimandano a un primo dopoguerra contemporaneo alla prima esecuzione dell’opera.

Il mare, evocato nel testo e presenza forte negli interludi sinfonici, è assente: l’azione ha luogo in un contenitore chiuso e vuoto (decisamente efficaci le scene di Paul Steinberg), delimitato da pareti mobili rivestite di legno o lamiera ondulata che, a seconda della situazione, modificano le prospettive in un processo di trasformazione e dissoluzione scenica che vedrà alla fine Peter Grimes solo con la sua ombra contro uno sfondo brumoso.

I pannelli si scostano generando aperture e la parete basculante di fondo si alza per mostrare, anziché il mare in tempesta, un coro mugghiante. Fulminante similitudine: la furia del mare e del borgo coincidono.
Peter Grimes è la storia di un outsider vittima di una comunità ostile che, per cercare una rivalsa sociale, esercita forme di sopraffazione e violenza e, fin dall’inizio, prima che parta la musica, udiamo il vociare scomposto e litigioso del coro ai lati della scena in attesa di poter flagellare Grimes. L’aggressività del contesto è qui particolarmente accentuata, troppe mani alzate in segno di minaccia non aggiungono altra tensione a quella già insita nella musica, ma lo spostarsi compatto del coro come uno sciame d’api da una parte all’altra della scena toglie ogni via di fuga e nel finale, stretto fra due pareti a angolo sul punto di esplodere, ci lascia senza fiato.

Benjamin Britten, discostandosi dal personaggio brutale e negativo creato a fine ‘700 da George Crabbe, fa di Peter Grimes un personaggio complesso, “né un eroe né un malvagio” (come dichiarò Peter Pears, primo interprete nonché ispiratore del ruolo), quanto un debole in cerca di riscatto su cui il giudizio, per una forma di pietas, va sospeso.
Spetta a regista e interprete trovare una chiave di lettura: Peter Pears ne fece un personaggio dolente e introverso, Jon Vickers drammatico e cattivo, Philippe Langridge ipersensibile e smarrito. A Berlino Christopher Ventris ne sottolinea  brutalità e colpevolezza, il suo comportamento è aggressivo nei confronti della comunità verso cui nutre rabbia e invidia, nei confronti di Ellen di cui fugge con malcelata ripugnanza ogni segno di affetto, nei confronti del ragazzo tenuto in uno stato di oppressione e paura.

Questo Peter Grimes sembra avere la coscienza sporca: sentendosi “sorpreso” dall’arrivo della folla in corteo, molla di colpo la fune a cui si tiene il ragazzo per scendere  lungo la scarpata. La morte fuori scena è accidentale o si tratta di omicidio? La scena successiva vede Peter Grimes coperto di sangue con il cadavere del ragazzo fra le braccia, uno di quei “mostri“ a cui la cronaca ci ha abituato, dopodiché il pescatore, seguito dalla sua ombra (la colpa), si rotola a terra ripetendo il proprio nome e tappandosi le orecchie per fuggire, e compiere, un atto di accusa. Christopher Ventris è un Peter Grimes di forte impatto per la voce virile e possente che rivela per tenuta la frequentazione del repertorio wagneriano, ma è anche morbida e duttile e si piega a chiaroscuro e modulazione richiesti da Britten.

In un’interpretazione drammatica e tesa (sulle orme  di Vickers, di cui ricorda il colore di voce), minor rilievo viene dato alla follia allucinata e straziante e il grande soliloquio (Great Bear and Pleiades) passa un po’ inosservato.

Michaela Kaune è una Ellen lirica, la voce negli sfoghi più drammatici talvolta vacilla, ma convince per sensibilità e precisione  nel duetto a cappella con Peter. L’opera mette in luce il fallimento di Balstrode ed Ellen, figure amichevoli ma passive, destinate a restare ai margini del dramma; significativa la scena sulla spiaggia in cui Ellen, pur avendo scorto di lontano il livido sul collo del ragazzo, mantiene gli occhi fissi sul lavoro a maglia senza avvicinarsi, una distanza straniante e apparentemente in contrasto con il libretto che segnala la volontà di non vedere né tanto meno agire.

Partecipe ed autorevole il Balstrode di Markus Brück, capitano di lungo corso senza un braccio dalla morbida voce baritonale. Androgina e inquietante la zietta di Rebecca de Pont Davies, quasi un dandy in pelliccia e bastone da passeggio. Hila Fahima e Kim-Lillian Strebel sono due nipoti  gemelle che vestite da collegiali in kilt piuttosto che marinarette solleticano il desiderio maschile come bambole meccaniche. Dana Beth Miller è una Mrs. Sedley bigotta e velenosa, vecchietta diabolica ammantata di perbenismo. Thomas Blondelle è un Bob Boles lascivo, Stephen Bronk è uno Swallow che all’occorrenza infila il tutù sull’abito gessato. Tra gli altri comprimari ricordiamo il Pastore Adams di Clemens Bieber, Bed Keene di Simon Pauly e Hobson di Albert Pesendorfer, Stefan Sefanow è il Dr. Crabbe, Thomas Schneider è John, apprendista muto reso curvo dalla paura e dalle percosse.

Un po’ monocorde la lettura di Ronald Runnicles: privilegia fin dall’inizio sonorità decisamente forti che, se pur creino un’atmosfera intrisa di aggressività e descrivano con realismo l’ostile microcosmo, non comunicano quel brivido sottile insito nella musica  “asciutta” di Britten e non danno il giusto risalto ai momenti di espansione lirica e allucinazione.
Ottima la prova del coro diretto da William Spaulding per compattezza e  potenza espressiva, che trova la sua apoteosi nel finale dove lo schianto delle maree non è meno terribile della “morale” del borgo.

Meritato successo per tutti gli artefici di una produzione riuscita che conferma il ruolo di punta del secondo polo operistico berlinese.

Visto a Berlino, Deutsche Oper, il 13/02/2013

ILARIA BELLINI